La cucina non lascia indifferenti nemmeno i giornalisti, e non nel senso che giornalisti e giornaliste (ma anche blogger) scrivono di cucina a piè sospinto, ma proprio nel senso che moltissimi sono presi da quella passione che ti conquista intimamente. Pensavo a questo mentre ero in fila, nello splendido Hotel Brufani di Perugia, per partecipare all’incontro con Carlo Cracco, incontro tenutosi all’interno del Festival Internazionale del Giornalismo in corso a Perugia in questi giorni. In fila per partecipare all’incontro con Carlo Cracco eravamo veramente in tanti e ogni minuto che passava la fila si allungava, tanto che alla fine la Sala Raffaello era gremita.
L’incontro ha avuto per tema Viaggio nella storia e nella tradizione della migliore cucina italiana ed è stato guidato dalla giornalista Barbara Sgarzi (le cui domande a Cracco, però, devo confessare, mi sono sembrate un po’ troppo banali).
L’incontro con lo chef Cracco potete vederlo nel video in apertura di post: dura circa un’ora. Io mi soffermo su un punto in particolare, che ho trovato molto interessante, vale a dire il rapporto che c’è tra la ricetta scritta (non dimentichiamo che lo chef era lì per parlare del suo libro A qualcuno piace Cracco) e quello che mettiamo poi in tavola. Giustamente Carlo Cracco ha sottolineato come una ricetta non sia mai definitiva e che quello che è importante è comprendere la ricetta, non tanto seguire pedissequamente delle grammature. Del resto, lo stesso Cracco ha affermato che
Le ricette dei cuochi al 90% sono sbagliate e se non sono sbagliate mancano dei pezzi: è la parte più noiosa perché il cuoco ce l’ha in testa.
Secondo Carlo Cracco
Una ricetta non è mai chiusa, deve essere sempre aperta: vuol dire che si può variare in base a quello che io trovo al mercato. Si cambia perché si trova altro e questo non deve creare alcun problema a chi cucina.
Credo che questo sia un aspetto fondamentale di cui spesso ci si dimentica. Non è raro, infatti, imbattersi in domande che riguardano l’esatta grammatura di un ingrediente o vedere persone che vanno nel panico perché non hanno trovato un determinato ingrediente. Questo, a mio modo di vedere, non significa saper cucinare né tanto meno essere appassionati di cucina. Argomento che, in verità, già notava Beppe Bigazzi tempo fa, quando, nella prefazione al suo libro 365 giorni di buona tavola, scriveva: “Spesso nella sezione dedicata agli ingredienti indico le dosi in cucchiai, cucchiaini, bicchieri… Avrei potuto, senza difficoltà, fare, volta per volta, un semplicissimo conteggio e indicare le quantità in grammi, decilitri ecc. Non l’ho fatto – e non lo farò – perché non sono un farmacista e perché in questo modo avrei messo in difficoltà il lettore che, senza dubbio, si trova più a suo agio con le misure empiriche. Cucinare è gioia, felicità, arte… Perché farne un argomento da farmacia?”
La conoscenza di un piatto e della sua è, naturalmente, fondamentale ma poi c’è bisogno anche della capacità di saper rileggere la ricetta stessa. Ha affermato Carlo Cracco:
I libri sono utili a chi si approccia alla cucina: ma la cosa più bella è riuscire a capire il significato di una ricetta. In cucina bisogna andare senza foto e realizzare la ricetta. Quando si è capito come si fa e qual è il tema principale della ricetta (per esempio, tempi di cottura, manteca tura, salsa…), la ricetta la si può modificare e farla propria.
Secondo Cracco un grande piatto è tale non perché l’ha fatto un grande chef, ma perché l’ha realizzato chi l’ha preparato e, soprattutto, perché lo trova grande chi lo mangia.
Per quel che riguarda la cucina regionale, poi, ho apprezzato alcune affermazioni di Cracco che, partendo dall’assunto che è un tema enorme e difficile è, comunque, un percorso da compiere:
La cucina regionale è un viaggio attraverso il nostro territorio, tanti aspetti che la gente non si ricorda. Capire, leggere, ritrovare e reinterpretare la cucina regionale è giusto perché è un tema che spesso e volentieri si dimentica. C’è una base da cui è partito tutto ed è il motivo per cui la cucina italiana è tra le più apprezzate nel mondo e viene da lì, dalla cucina regionale.
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