Cosa hanno in comune Tutankhamon, Ippocrate, Galeno, Plinio e Napoleone? La passione per la liquirizia! La “radice dolce” – questo significa appunto liquirizia – è apprezzata da oltre tremilacinquecento anni: proprio nella tomba di Tutankhamon ne sono state trovate tracce perfettamente commestibili. L’hanno usata i cinesi e i medici del passato e Napoleone ne era ghiotto.
La liquirizia è originaria del bacino Mediterraneo e dell’Asia centrale. La migliore ce l’abbiamo in Italia, a Rossano in provincia di Cosenza, dove sorge anche un Museo della Liquirizia. La liquirizia di Rossano è un prodotto di alta qualità e particolarmente dolce. Un tempo la si usava molto in cucina come dolcificante, visto che il suo potere addolcente è superiore di cinquanta volte rispetto allo zucchero. Poi, con la coltivazione intensiva della canna da zucchero, l’uso è andato scemando.
Le radici della liquirizia sono brune e la polpa è fibrosa e giallastra: una volta raccolte le radici si fanno bollire, si filtrano e se ne estrae il succo che, appena si raffredda, si solidifica in un blocco appiccicoso e nero. Le radici più piccole e sottili, invece, sono essiccate e messe in commercio come “bastoncini” da masticare.
Ecco una descrizione abbastanza precisa del processo di lavorazione della liquirizia:
La radice, che si sviluppa in senso orizzontale, si estrae ogni quattro anni (ogni sei se viene coltivata in collina). La raccolta è un lavoro faticoso che prima si faceva con la zappa. Ora si estraggono a mano dopo che i trattori le hanno portate allo scoperto rivoltando la terra. Separate le radici, i fasci vengono prima tagliati e poi sfibrati da un mulino a martelli. Dopo questo trattamento e dopo essere state bagnate con acqua, le radici si trasformano in una poltiglia biancastra che viene pompata in degli estrattori. Qui il prodotto viene scaldato e sterilizzato, poi inserito in una pressa. A questo punto inizia un delicato processo di concentrazione che serve a togliere sempre più acqua alla liquirizia. In questa fase il risultato è un liquido biancastro che diventa sempre più scuro e alla fine viene colato in teglie di teflon. Qui la liquirizia assume l’aspetto di rigidi panetti rettangolari. Poi, dai panetti, la liquirizia viene trattata per ottenere le forme e la consistenza desiderate.
In cucina, considerata la dolcezza, la liquirizia si usa soprattutto nei dolciumi, nei gelati o come caramelle. La si usa anche come aromatizzante di bevande (conferisce un sapore molto forte a birra e liquori) e in erboristeria. Se volete provare una bevanda dissetante che va alla grande in Egitto seguite queste indicazioni: procuratevi dei bastoncini di radice di liquirizia, riduceteli a pezzetti e poi con un buon frullatore trasformateli in polvere, la più fine possibile (se poi riuscite a trovare in commercio la polvere di liquirizia fate prima); versate la polvere in un infusore da the e mettetelo in una brocca con dell’acqua fresca per almeno mezz’ora. Trascorso il tempo di infusione, togliete l’infusore, filtrate se necessario e bevete: è una squisita bevanda!
Se invece volete un accoppiamento insolito ma molto buono, versate un po’ di polvere di liquirizia su una tartare di manzo: sarà un vero tripudio per il palato. Un uso classico è quello di usarla in tisane depurative.
A volte viene utilizzata nelle miscele di tabacco da pipa per conferire un aroma insolito e le industrie farmaceutiche la usano in diversi prodotti per coprire il sapore troppo forte di questo o quel medicinale.
In conclusione, un’avvertenza: la liquirizia va assunta con moderazione per le sue proprietà ipertensive. Evitatela, pertanto, se avete la pressione alta. E non consumatela se siete in gravidanza.
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